SI FA PRESTO A DIRE CAGLIO

L’uso di enzimi vegetali per la coagulazione del latte a scopo caseario apre la strada a numerose tecniche per la realizzazione di nuovi, interessanti formaggi.

Il processo coagulativo nella caseificazione è dato fondamentalmente dalla destabilizzazione e dal successivo addensamento delle caseine, le più rilevanti proteine del latte. Alla coagulazione segue un’aggregazione delle caseine che porta alla cagliata, primo step per la produzione di formaggio. La coagulazione proteica può avvenire grazie ad azione enzimatica, ad acidificazione o a una combinazione delle due; molti formaggi sono prodotti grazie alla sola coagulazione acida – spesso indotta da microflora batterica – ma la coagulazione enzimatica sarebbe la più diffusa.

 

 

Esistono però tecniche alternative di cagliatura, che molto spesso non rappresentano una mera ricerca del “nuovo”, ma sovente racchiudono culture popolari anche antiche.

Quello che industrialmente è chiamato “caglio” è un enzima (la rennina) comunemente estratto dall’abomaso (l’ultima delle quattro cavità in cui si suddivide lo stomaco dei ruminanti, in questo caso, animali giovani, ndr) di vitello, agnello e capretto, nonostante esistano anche i derivati da pepsine estratte dallo stomaco di suino o pollo. Quello di vitello infatti copre solo il 20-30% della domanda mondiale di coagulanti del latte. In USA e UK il caglio è prevalentemente ottenuto da fermentazione batterica o dall’enzima geneticamente ingegnerizzato.

Se ottenuto da fermentazioni, offre vantaggi nella preparazione di formaggi Kosher, Halal e di prodotti vegetariani, mentre l’impiego di piante ingegnerizzate può presentare questioni di carattere etico e preoccupazioni circa i possibili effetti biologici a lungo termine su consumatori e ambiente.

Nei recenti anni si è assistito alla diffusione dei cosiddetti “cagli vegani” o “enzimi vegetali”, che possono conciliare precetti religiosi e regimi vegetariani, evitando la produzione di alimenti contenenti OGM. Il caglio vegetale viene impiegato soprattutto nella caseificazione artigianale, mentre solo una piccola quota viene destinata alla produzione semi-industriale.

 

Spesso in Paesi come Italia, Spagna e Portogallo si impiegano quelli ricavati dal carciofo o dal cardo, di solito dalle sommità fiorite. In diverse zone dell’Asia sono diffusi cagli ricavati da bacche di Solanacee locali (come pomodori, melanzane, peperoni), ma spesso si utilizzano anche estratti di piante a noi più vicine. In Italia, ad esempio, è stato realizzato un formaggio vaccino grazie all’essenza dei frutti di kiwi  o di papaya (l’enzima papaina) oppure dai rizomi di zenzero, come sperimentato in Pakistan.

 

L’uso di cagli vegetali nella caseificazione può differenziare le caratteristiche di questa fase di produzione rispetto a quelle con caglio animale, come la resa di caseificazione, generalmente superiore nei formaggi prodotti nel secondo modo.

 

Alcuni cagli vegetali, proprio per le loro differenti proprietà coagulanti, possono portare alla produzione di peptidi (sostanze di sintesi, formate da due o più amminoacidi, ndr) che conferiscono toni amari già in fase di coagulazione; il conferimento di un certo grado di amarezza è apprezzato in molti formaggi (ad esempio erborinati), ma in altri può costituire un fattore indesiderato. L’impiego di estratti di ananas, kiwi e zenzero può dar luogo a un gusto lievemente amaro, differente a seconda della specie da cui il latte proviene.

 

L’influenza del caglio vegetale può ripercuotersi anche sulla texture della cagliata (e di conseguenza del formaggio): ad esempio, prove sperimentali evidenziano che gli estratti di kiwi restituiscono generalmente notevole tenacia, a differenza degli estratti di melone, che conferiscono una certa morbidezza.

In Italia, i formaggi prodotti con cagli alternativi o tecniche particolari di coagulazione si stanno sempre più diffondendo: si reperiscono facilmente quelli di latte vaccino od ovicaprino (duri e semiduri) prodotti con caglio vegetale, sia tradizionali che di nuova concezione. A tale proposito, tra quelli tradizionali preparati con tecniche particolari vale la pena ricordare il “callu ’e cabrittu” (caglio di capretto) della Sardegna, in cui il latte è coagulato direttamente nell’abomaso dell’animale che viene poi chiuso e fatto maturare con il suo contenuto. Un altro prodotto di nicchia con una preparazione unica al mondo è l’abruzzese Pecorino di Farindola, realizzato con un caglio di origine suina, che gli conferisce caratteristiche uniche.

Per concludere, l’impiego di cagli alternativi si sta ritagliando uno spazio sempre maggiore nella caseificazione. Per quanto concerne quelli vegetali, gli effetti collaterali, quali quelli legati alla formazione di aromi indesiderati, potrebbero rallentare le fasi di sviluppo dei prodotti, ma la riduzione di questi inconvenienti aprirebbe nuove strade per l’esplorazione di un aspetto interessante della moderna caseificazione.

Massimo Faustini

Università degli Studi di Milano

Dipartimento DIVAS

massimo.faustini@unimi.it

 

 

 

 

 

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