NELLO SPAZIO CON ELENA PETTINELLI

La protagonista del numero di CiBi di settembre è Elena Pettinelli, nota geofisica, che ha permesso l’individuazione e lo studio del primo lago sotterraneo su Marte. Trovate l’intervista che le abbiamo fatto, ricca di informazioni sulla sua vita professionale e personale, i suoi studi e le sue ricerche, qui. In questa pagina ci racconta l’importanza e il fascino dei laghi dello spazio…

Ho visto che metterà in piedi un nuovo laboratorio all’Università Roma Tre correlato a queste ricerche spaziali attraverso il progetto SWIM; ce lo racconta?

Sì, certo. Grazie all’esperienza fatta nel corso della ricerca dei laghi subsuperficiali marziani, so che prima di analizzare i dati del radar e per evitare errori nell’interpretazione, anche clamorosi, è necessario studiare molti aspetti della fisica dei ghiacci che ricoprono questi satelliti. Per questo, ho deciso di partecipare al bando dell’European Research Council (ERC) scrivendo una proposta su queste tematiche di punta, con l’obiettivo di studiare in laboratorio il comportamento dei ghiacci planetari, ed essere sicuri che il segnale ricevuto dal radar indichi inequivocabilmente la presenza di acqua liquida all’interno o al di sotto delle croste ghiacciate.

Ma questi passaggi fondamentali da analizzare prima di far partire una missione sono riassumibili in un modo comprensibile a un pubblico generico o sono tutte cose molto tecniche?

Sono tecniche, però si possono spiegare in maniera semplice. Assumiamo di voler andare su Europa o su Ganimede per identificare la presenza di acqua nel sottosuolo con un determinato strumento. Prima dobbiamo aver testato le caratteristiche di questo strumento sulla Terra, in laboratorio, per essere sicuri che il segnale che vediamo sia veramente quello dell’acqua e non di qualche altro fenomeno che simula la presenza di acqua.

In questo caso specifico, visto che l’acqua che vedrà è al di sotto di una crosta ghiacciata che può essere salata e avere caratteristiche molto particolari, si devono studiare a monte tutte le caratteristiche della crosta salata per capire se i segnali radar potranno veramente penetrare attraverso la crosta fino ad arrivare all’acqua.

 

 

E questa crosta ghiacciata ed eventualmente salata ha delle caratteristiche simili a una crosta ghiacciata terrestre o a quella che negli anni scorsi avete trovato su Marte, oppure ognuna ha delle specificità?

Il ghiaccio che si trova su Marte o sulle lune ghiacciate di Giove è fondamentalmente dello stesso tipo che si trova in Antartide: è il ghiaccio a struttura esagonale che costituisce i ghiacciai terrestri e i cubetti nel nostro freezer, anche se nei pianeti e nei satelliti ce ne sono anche d’altri generi. Tuttavia, il problema non è il ghiaccio di per sé, ma quello che c’è insieme; perché sulla Terra, essendo presente un’atmosfera, nel ghiaccio sono accumulati gli aerosol dell’atmosfera, gli inquinanti, ed è la motivazione per cui si fanno i carotaggi per avere informazioni sulle condizioni passate del nostro clima.

Il ghiaccio che si trova nelle calotte polari marziane invece, dal momento che Marte non ha l’atmosfera terrestre, ha una certa quantità di polvere ed è mescolato a quello di anidride carbonica. Sui satelliti galileiani di Giove la cosa che ci aspettiamo di trovare è un ghiaccio simile a quello marino terrestre, cioè con del sale al suo interno, per cui una terza situazione ancora, e magari anche sali di differenti tipi. Siccome abbiamo alcune indicazioni derivanti da missioni passate ma non sappiamo con certezza che tipo di sale sia, in laboratorio dobbiamo testare molte condizioni diverse, ovviamente all’interno di un range di possibilità, per capire questi potenziali ghiacci marini che caratteristiche abbiano.

 

 

Immagino che il punto finale di queste ricerche sia acqua come possibilità di vita, giusto?

Esatto. La questione importante è che noi sappiamo da altre missioni che lì ci deve essere un oceano interno. Ma il problema è: quest’acqua risale? Noi abbiamo delle prove indirette che quest’acqua sia risalita fino in superficie, ma dobbiamo verificarlo. E perché è così importante?

Ci sono due cose rilevanti: che l’acqua sia in contatto con la roccia sottostante, perché l’interazione arricchisce l’acqua di minerali, quindi, di molecole che eventualmente i batteri possono utilizzare per creare energia, e che l’acqua fuoriesca in superficie.

Su Europa c’è un tenue strato di ossigeno formatosi non per presenza di batteri come sulla Terra, ma a causa dell’interazione fra la radiazione cosmica e le molecole presenti in superficie. Uno scambio di ossigeno tra la superficie e l’acqua dell’oceano sarebbe importante. In un oceano totalmente isolato è difficile che nasca la vita, ma se l’oceano interagisce con ciò che ha sotto e sopra diventa una ambiente favorevole per lo sviluppo di forme di vita.

 

E questo potrebbe voler dire sia possibilità di vita futura sia ipotesi di vite passate?

Sì, la cosa che si cerca è vita in senso semplice, batteri che possono vivere in condizioni estreme.

Marta Pietroboni

marta.pietroboni@cibiexpo.it

 

 

 

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