È la scienza che studia l’uso alimentare delle piante spontanee commestibili.
L’Italia è ricchissima di piante fitoalimurgiche, cioè di erbe selvatiche che crescono in un ambiente naturale e si sviluppano in un ecosistema in cui sono reperibili tutti i nutrienti di cui hanno bisogno. Qualche esempio: il rabarbaro alpino, che oggi consumiamo sia crudo sia cotto; il cappero, di cui utilizziamo foglie, frutti e fiori, o la borragine, per foglie e fiori; il sambuco nero, con i fiori e le bacche dalle quali otteniamo sciroppi, tisane e preparati cosmetici; i petali e l’intero fiore della calendula. Le parti commestibili di una pianta possono infatti essere diverse: foglie, fusto, germogli, fiori, radici, tuberi, bulbi e bacche.
Il termine “alimurgia” fu coniato dal medico e naturalista fiorentino settecentesco Giovanni Targioni-Tozzetti ed è stato illustrato in un trattato che sosteneva fosse possibile far fronte alle carestie grazie all’uso dei prodotti spontanei della terra, in particolare delle verdure, come il cardo mariano, l’asparago selvatico, l’ortica e molte altre.
La paleontologia ci dice che la nostra specie (Homo sapiens) è comparsa sulla Terra circa 200.000 anni fa, e per gran tempo si è nutrita raccogliendo piante e frutti spontanei, sviluppando di conseguenza una profonda conoscenza del territorio e delle sue risorse.
Persino dopo la nascita dell’agricoltura, avvenuta circa 10.000 anni fa, sono rimaste una consuetudine la raccolta e il consumo di piante spontanee commestibili che, in particolare nei periodi di penuria, guerre, calamità naturali, hanno rappresentato una fonte indispensabile di nutrimento per la sopravvivenza.
Sono usanze che si stanno perdendo. Eppure, molte di queste specie presentano un contenuto in sali minerali o vitamine particolarmente rilevante, tanto da rendere interessante oggi la loro reintroduzione nella dieta, che contribuirebbe a migliorare la nostra alimentazione.
Però, bisogna stare attenti a identificare in modo sicuro la pianta che si sta raccogliendo, per non confonderla con specie simili ma velenose o addirittura (per fortuna, raramente) mortali. Insomma, bisogna usare la medesima cautela che si consiglia ai cercatori di funghi. Raccogliere la pianta sbagliata potrebbe creare seri problemi. Visto che solo alcuni anziani mantengono l’abitudine della raccolta di questo tipo di piante e sanno come usarle, bisogna documentarsi: in certi casi solo determinate parti sono commestibili, in altri è pericoloso consumarle crude.
La redazione