È una pianta della famiglia delle Solanacee, come il pomodoro, di cui mangiamo il frutto, e la patata, di cui mangiamo il tubero. Ma questa è velenosa. Sally è la più piccola delle sue sorelle. La famiglia vive nella campagna inglese che però si sta pian piano svuotando. Tutti vanno in città, chissà perché. Il papà dice che è colpa di quelle nuove macchine e delle fabbriche che stanno costruendo, e così la città si riempie di operai e fumo grigio. A Sally piace stare in campagna e non vorrebbe mai trasferirsi in mezzo a tutto quel trambusto; molto meglio esplorare i campi, i boschetti e il verde che circonda la casa.
Quel giorno il Sole aveva già iniziato la sua discesa lungo l’arco del cielo quando, saltellando tra gli alberi, Sally inizia a sentire un certo languorino. Si guarda attorno, mentre la gonna accarezza l’erba al suo passaggio, e si ferma soltanto quando davanti a lei trova proprio quel che le serviva: in mezzo all’erba c’erano delle piante, alcune più alte di lei, ingioiellate di gonfie e lucidissime bacche nere e tra l’una e l’altra ancora qualche fiore violaceo fatto a calice e terminante in 5 petali. Tutti i fusti e le foglie erano ricoperti da piccoli peli trasparenti che non avevano per niente un buon odore, ma quelle bacche sembravano davvero invitanti, e che fortuna! Gli uccelli non ne avevano beccata nemmeno una!
Il Sole è già tramontato quando la madre e le sorelle non la vedono rincasare. Le lanterne che corrono sotto il crepuscolo ricordano da lontano grosse lucciole impazzite, mentre il nome di Sally viene urlato, senza risposta, nella campagna inglese.
Passano diverse ora quando una lanterna illumina, in lontananza, una sagoma che sembra reagire al richiamo. Cerca di alzarsi da terra, ma non riesce a tenersi in piedi. Quando le si avvicina, urlando a tutti “è qui!”, sua sorella Lucy sente che la pelle di Sally è molto calda, e la luce gialla la trova coperta di puntini rossi che la bambina cerca debolmente di grattare. Sally non risponde alle domande della sorella, un po’ perché si sente stordita e ha le vertigini, un po’ perché non sa come mai non riesce ad aprire la bocca, asciutta e contratta. I suoi occhi rossi e fitti di capillari sporgono e il suo sguardo è fisso e vacuo. A casa, iniziano le convulsioni. A volte sembra smettere di respirare, e la febbre sale.
Il dottor Brown arrivò nel cuore della notte. Capì subito che non erano stati i mirtilli a sporcare le labbra e il vestito della bambina. La midriasi che impediva alle pupille di restringersi davanti alla luce della lanterna, gli occhi rossi sporgenti, le frasi senza senso, la pella calda, coperta da un esantema scarlattiniforme, e il trisma che bloccava i muscoli della mandibola erano sintomi che puntavano tutti il dito verso un preciso colpevole… Atropa belladonna ha 2 nomi, quello del genere e quello della specie, che raccontano altrettante storie. “Atropa” deriva dal greco “a-treptos”, che significa immutabile, irremovibile, ed è il nome della terza tra le Moire, le Dee del destino nella mitologia greca: Cloto, la filatrice, è colei che regge il filo dei giorni per la tela della vita, Làchesi dispensa la sorte avvolgendo al fuso il filo che a ciascuno viene assegnato e, infine, Atropo con le lunghe affilate forbici lo recide quando giunge il momento di porre fine alla vita di quel mortale, senza che nessuno, nemmeno gli Dei, possa interferire. Belladonna ci porta avanti, in un salto tra i secoli, al Rinascimento, quando era d’uso ricavare dalla pianta uno speciale collirio che dava risalto agli occhi e allo sguardo. Questo perché l’atropina, sostanza di cui il vegetale è ricco, agisce sul sistema nervoso e induce la midriasi (la dilatazione della pupilla) donando all’occhio un effetto “cerbiatto”, oltre che una ridotta tolleranza alla luce.
La belladonna era anche uno degli ingredienti del cosiddetto “flying ointment”, unguento allucinogeno di cui le streghe di tradizione europea si sarebbero servite, come suggerisce il nome, per volare a cavallo dei manici di scopa. Almeno, stando a quanto testimoniano gli affidabilissimi resoconti dei dotti religiosi dell’epoca. Oggi, a tener viva la fama della piantina è la serie televisiva Mercoledì (famiglia Addams) dove a prendere il suo nome è una pericolosa società segreta.
Ancora una volta, però, phàrmakon, come abbiamo visto nell’articolo precedente, può significare sia “veleno” che “rimedio”.
Oltre a soddisfare la vanità delle dame rinascimentali, a far volare le streghe e a fungere da strumento per assassinii nell’antica Roma, il principio attivo dell’atropina è ancora oggi sfruttato per stimolare la dilatazione delle pupille e come miorilassante prima degli interventi chirurgici.
E, per fortuna della nostra Sally, il sapiente intervento del dottor Brown ha permesso di trattare al meglio l’avvelenamento, i cui sintomi si sono alleviati fino a sparire nell’arco di una settimana. Ma se non fosse intervenuto in tempo e nel modo giusto o se Sally avesse mangiato troppe bacche, Atropo non avrebbe atteso più di un giorno e mezzo per recidere il filo della bambina, e la morte per paralisi generale se la sarebbe portata via, per sempre.
Riccardo Vedovato
riccardo.vedovato1994@gmail.com