Cerchiamo di capire se esiste un divario qualitativo riconosciuto a livello scientifico tra gli alimenti biologici e quelli convenzionali.Se fino a 10 anni fa i prodotti biologici occupavano solo un piccolo segmento di mercato, oggi hanno conquistato più spazio perché vengono percepiti non solo come compatibili con la tutela dell’ambiente ma anche salutari per il consumatore. Cosa dice al proposito la ricerca? Partiamo da un dato: rispetto ai prodotti convenzionali, quelli biologici contengono quasi sempre meno residui di pesticidi chimici.
Dagli ultimi dati diffusi dall’EFSA (Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare) emerge però che rispetto a questo parametro non tutte le categorie alimentari si equivalgono. Frutta e verdura biologica sono in sensibile vantaggio in termini di minor presenza di residui di pesticidi, vantaggio che però si riduce nei cereali e quasi s’annulla negli alimenti di origine animale.
D’altro lato, sul piano nutrizionale, per alcuni alimenti di origine vegetale i contenuti di sostanze antiossidanti, come polifenoli e vitamina C, sono più elevati, mentre per quelli di origine animale si evidenzia un maggiore apporto di acidi grassi polinsaturi e omega-3. Le differenze in termini di nutrienti sono però ancora oggetto di studio. Allora perché produrre il bio? L’ho chiesto a Renata Lovati, con un’azienda da latte dal 1980, titolare della Cascina Isola Maria nel Parco Agricolo Sud Milano, presidente di Donne in Campo Lombardia. La Lovati ha prodotto in tutti i modi possibili: convenzionale, integrato e biologico dal 2009.
Quali erano i motivi del cambiamento?
La motivazione era, prima di tutto, etica. Sono un’ambientalista convinta. Però la mandria era molto redditizia e all’università ci avevano insegnato a puntare sulla massima produttività. Abbiamo svoltato quando siamo entrati in contatto con gruppi d’acquisto che cercavano aziende disposte a convertirsi al bio. Da parte loro avrebbero comprato i prodotti anche nel periodo della conversione, quello più difficile per un’azienda zootecnica che deve vendere il latte al prezzo del convenzionale ma acquistare per esempio costosi mangimi biologici. Quindi ci hanno invogliato a produrre formaggi per differenziare l’attività e ridurre i rischi.
Sta parlando della multifunzionalità?
Si, le aziende che hanno investito in quella direzione se ne sono avvantaggiate. Nei mesi di emergenza sanitaria per esempio la vendita di latte e formaggi si è incrementata molto, mentre le attività legate all’ospitalità sono ferme. Devo dire che l’imprenditoria femminile è stata la prima ad avviare agriturismi, produzioni locali e di prossimità.
In questo periodo voi avete dovuto fare dei cambiamenti?
Abbiamo accolto la richiesta delle famiglie di consegnare i prodotti a domicilio. Grazie al passaparola, le domande sono molto aumentate. La scelta etica si è rivelata vincente anche dal punto di vista economico perché, pur producendo meno latte, abbiamo incrementato il reddito.
Perché le persone apprezzano il bio?
Condividono la scelta di produrre senza pesticidi o insetticidi… di tutelare l’ecosistema. Adesso si parla molto di agroecologia: ci si riferisce ad aziende che scelgono dei modi di produrre più sostenibili ma non sempre certificati. Il problema è il costo; non tutti hanno la forza e il coraggio di affrontare quello che dal punto di vista burocratico è uno sforzo impegnativo. Intanto stiamo sollecitando una conversione dei tecnici, degli agronomi. È importante perché noi non trovavamo figure professionali che fossero in grado di aiutarci. In questi ultimi 5 o 6 anni stiamo costruendo e distribuendo alle aziende che vogliono fare conversione i riferimenti di chi è in grado di seguirli in campo.
È vero che se tutta la produzione fosse biologica sarebbe insufficiente per sfamare il mondo? E che solo alcuni possono permettersela perché ha prezzi più alti?
Dico subito che il ‘non bio’ non è pericoloso. I controlli in Italia si fanno, siamo tra i Paesi europei che hanno più controlli di qualità sui prodotti. Però dico anche che il prezzo del bio è diminuito, lo si trova facilmente nei supermercati, forse penalizzando il rapporto diretto tra gli acquirenti e le aziende. Il fatto che si produca poco nel bio è un mito da sfatare, forse era così all’inizio. Adesso noi abbiamo visto che, dopo quasi 10 anni, la fertilità della terra è cresciuta.
La base essenziale del bio è la rotazione delle colture per il controllo delle infestanti e, facendo rotazione (di fatto, coltivando leguminose), la fertilità della terra aumenta. Ci sono ancora effettivamente docenti che dicono che col bio non si sfama il mondo ma, pensando a tutto il cibo che si butta, penso che si potrebbe produrre meno e meglio, e vale soprattutto per i prodotti zootecnici.
Ai vegani che puntano sempre il dito contro i produttori di carne, chiedo: cosa ce ne dovremmo fare dei prati pascolo? Bisogna probabilmente allevare meno animali, sprecare meno cibo ed essere più equilibrati. L’equilibrio è la regola principale a cui ispirarsi.
Paola Chessa Pietroboni