ELENA PETTINELLI

Elena Pettinelli, geofisica nota per il suo fondamentale contributo alla scoperta del primo lago sotterraneo su Marte utilizzando il radar MARSIS a bordo della missione ESA Mars Express, cresce in una famiglia “un po’ del nord e un po’ del sud, come tanti italiani”. Il padre è giornalista, la mamma lavora alla base americana fra Livorno e Pisa, il nonno, geometra, costruisce strade in Africa e in Italia; avendo fatto la Prima Guerra Mondiale come marconista, è un esperto di radio e telecomunicazioni ed è estremamente curioso in ambito tecnologico e scientifico. È la persona della famiglia a cui si sente più vicina, quello con cui sa di potersi confrontare su argomenti di comune interesse, con il quale vede il primo uomo arrivare sulla Luna, e che probabilmente ha indirizzato alcune delle sue scelte.

 

 

Come è diventata la scienziata che conosciamo?

Ero abbastanza brava in matematica e scienze a scuola – niente di geniale, avevo una certa predisposizione come ce l’hanno tanti studenti – e questo mi ha spinto a iscrivermi al corso di laurea in Fisica. Inizialmente volevo fare l’astrofisica, ma entrata in facoltà ho scoperto milioni di cose… Mi sono laureata a pieni voti con il Professore Bella che si occupava di Geofisica e ho iniziato a studiare i terremoti, campo di ricerca che ho abbandonato quasi subito perché iniziavano ad affascinarmi problemi elettromagnetici.  Così ho fatto il concorso per il dottorato a Trieste e ho iniziato ad occuparmi di radar sottosuperficiale, che veniva sviluppato in quegli anni; mi piaceva l’argomento. Poi ho vinto una borsa del CNR per fare ricerca all’estero e sono andata a Waterloo, in Canada, dove c’era un gruppo di ricerca di eccellenza, guidato da uno dei padri dello sviluppo del radar, Peter Annan, e ho lavorato con loro. Era un ambiente di alto profilo dal punto di vista scientifico, molto internazionale; è stata un’esperienza fondamentale e bellissima, anche dal punto di vista personale, perché in Canada ho conosciuto mio marito. Quando siamo tornati in Italia, è stata dura. Sono passata attraverso una lunga serie di posizioni precarie, facendo ricerca in campi diversi… Sono andata, ad esempio, a lavorare in fisica della risonanza presso la Fondazione Santa Lucia di Roma.

 

Percorsi apparentemente disorganici hanno a volte un valore aggiunto?

Le variazioni sul tema – ho lavorato anche un po’ per l’agricoltura impiegando tecniche elettromagnetiche per stimare il contenuto d’acqua nel suolo –  penso siano estremamente positive, ovviamente se si riesce a mantenere un focus; si conoscono persone e problematiche scientifiche diverse, che arricchiscono. Io ho avuto la fortuna, nei primi anni del 2000, di iniziare a lavorare a un progetto dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) dedicato allo sviluppo di sonde per misurazioni elettromagnetiche su Marte proprio perché un collega del CNR che conosceva bene il mio percorso ha ritenuto fossi l’unica persona che avrebbe potuto portare avanti queste ricerche. C’era a disposizione un budget importante e così ho parlato con il Professore con cui mi ero laureata e con il quale avevo mantenuto un ottimo rapporto; si era spostato a Roma Tre, mi ha proposto di attivare lì una borsa di studio sul progetto, l’ho seguito e, dopo altri quattro anni di precariato, sono diventata ricercatrice.

 

Quindi, importantissime le competenze ma anche le relazioni umane?

Nella mia carriera ho incontrato persone che mi hanno aiutato e insegnato moltissime cose. Penso che ognuno di noi abbia coscienza che incontrare persone particolari trasferisca qualcosa di unico: la spinta a guardare più in là, a cercare risposte profonde, a non essere avventato e superficiale. Una di queste figure preziose è stato sicuramente il Professore con il quale mi sono laureata, un’altra Giuliano Vannaroni, un fisico di altissimo profilo, davvero capace di trasmettere conoscenze ed esperienze, e che mi ha aiutato a sviluppare un laboratorio che è cresciuto così tanto da  cominciare ad avere un nome internazionale e noi a partecipare a diverse missioni spaziali. Quando Giuliano è andato in pensione, la mia competenza era cresciuta e ho messo in piedi il mio gruppo di ricerca, che adesso è strutturato, stabile e coeso, anche perché siamo maturati insieme. E così, nel 2018 insieme ad un altro ricercatore, Roberto Orosei dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica), utilizzando il radar progettato da Giovanni Picardi, abbiamo fatto la scoperta straordinaria della presenza di un lago di acqua liquida e salata sotto i ghiacci del Polo Sud di Marte. Così sono diventata la responsabile del gruppo di ricerca, i ricercatori sono stati assunti, oggi sono professore ordinario…

 

Il ghiaccio che si trova in Antardide ha caratteristiche simili a quello marziano

 

Come è passata da Marte ai satelliti di Giove?

Sono stata invitata con il mio gruppo di ricerca a partecipare come co-investigatrice della missione ESA JUICE. La missione adesso è in volo, è costituita da un satellite molto grande, con dieci strumenti a bordo, tra cui appunto il radar RIME, e la sua destinazione finale sarà lo studio di Europa, Ganimede e Callisto alla ricerca di acqua e di oceani sottosuperficiali.

 

Marta Pietroboni

marta.pietroboni@cibiexpo.it

 

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