GYOZA : I “RAVIOLI ” GIAPPONESI

Come abbiamo imparato ad aspettarci dagli ultimi due articoli sulla cucina giapponese, anche gli involtini nascono in Cina.  Anche gli involtini, che noi chiamiamo impunemente “ravioli”, sono un piatto che non nasce interamente nel Paese del Sol Levante, ma che evolve da un’idea del suo grande vicino continentale.

 

 

 

In Cina, i “ravioli” che conosciamo vengono chiamati jiaozi. Ovviamente la pronuncia non è giao-zi, come saremmo tentati di leggere armati degli strumenti fonologici di cui la lingua italiana ci ha dotato. Per chi ha qualche rudimento di linguistica, la pronuncia in cinese mandarino sarebbe [tɕjàʊ.tsɹ̩]. Bello scarabocchio, eh? Per chiunque non abbia familiarità con i simboli dell’IPA (International Phonetic Alphabet), e cioè qualunque persona normale, semplifichiamo: immagina un suono simile al “cià” come se stessimo imitando il rumore del piatto di una batteria e una “a” cadente che viene presa al volo e tirata su da una “o” chiusa (come in dono) che però ci va un po’ di traverso e suona verso la gola (e la prima sillaba è andata). La seconda è più facile: prendete la mosca tse-tse, e sostituite la “e” con una “r americana” che non trilla come la nostra. Provandoci dovreste sentire la lingua che da davanti scatta indietro come per far partire una motosega, ecco lì ci mettete una “i” quasi impercettibile, e il gioco è fatto! Auguri.

Torniamo alla parte storico-culturale, che è meglio. L’idea base dietro a jiaozi e gyoza (gyoza è facile da dire, è ghiò-sa, con la s di rosa) è in effetti simile a quella di ravioli, tortellini, cappelletti e involtini vari: carne, pesce e/o verdure avvolte da un impasto chiuso pressando le estremità le une contro le altre. Possono essere bolliti, al vapore, alla piastra o fritti. Sono tuttora il piatto del Capodanno, perché ricordano la forma dei lingotti d’oro o d’argento cinesi, simbolo di benessere e buona fortuna e alcune persone li preparano nascondendo in alcuni di essi una moneta, creando una sorta di gioco: chi trova il raviolo fortunato? Quei particolari lingotti, di quella forma per noi così strana, erano utilizzati come moneta durante la dinastia Ming (1368-1644, periodo che in Europa corrisponde a qualche decennio dopo la fine delle grandi epidemie di peste, di cui parla anche Boccaccio nel Decameron, e che arriva fino agli anni in cui Luigi XIV, il Re Sole, sale al trono in Francia).

Ci sono diverse leggende e storie legate all’invenzione di questo piatto, una delle quali suggerisce che risalga alla Dinastia Han orientale (25-220 d.C., più o meno da quando Ottaviano diventa Augusto e Roma inizia a diventare impero, fino al momento storico in cui è ambientato il film Il gladiatore II). Il leggendario inventore sarebbe Zhang Zhongjing, antico esperto di medicina tradizionale cinese, e il loro antico nome iniziale sarebbe stato jiao’er, “orecchie tenere”, perché dovevano servire ad aiutare proprio le orecchie congelate dal freddo. Secondo la leggenda popolare, Zhang Zhongjing era sulla via di casa in una giornata invernale, quando incontrò lungo il cammino numerose persone con le orecchie morse dal gelo della stagione. Il medico decise così di aiutarle stufando dell’agnello con pepe nero e altri medicamenti riscaldanti in una pentola. Racchiuse il contenuto in un involucro di impasto e bollì quegli involtini nel brodo servendoli alle persone fino al Capodanno cinese (quest’anno sarà il 29 gennaio 2025). Secondo altre teorie però avrebbero avuto origine già durante la Dinastia Han occidentale che ha inizio 200 anni prima (220 a.C. – 9 d.C.) quando Roma stava combattendo contro Annibale. All’epoca la parte “jiao-“ della parola si scriveva ancora con un carattere che significa “corno”, “punta”, “angolo” e indicherebbe proprio le escrescenze tipiche dei ravioli, ma venne poi sostituito.

Per arrivare a ottenere un posto d’onore nella cucina giapponese però dobbiamo aspettare quasi duemila anni. Gli involtini vengono introdotti dai soldati che tornavano dall’invasione-colonizzazione della Cina da parte dell’Impero giapponese.

Le differenze tra gyoza e jiaozi consistono in una più decisa nota di aglio nell’originale cinese, sia perché poco apprezzabile per il palato giapponese, sia per la penuria di ingredienti in questo Paese durante la guerra; un impasto più sottile, dovuto al fatto che i ristoranti giapponesi stendevano la pasta a macchina e non a mano.

Oggi sia i gyoza che gli jiaozi si mangiano tutto l’anno e in qualsiasi pasto della giornata e vengono di solito serviti (quando cotti al vapore) nel tipico contenitore di bambù in cui se ne ripongono dieci pezzi. L’anime e manga in cui li troviamo citati più spesso è sicuramente Dorohedoro, storia decisamente violenta e tragicomica in cui il protagonista si risveglia tramutato in un grosso essere a metà tra un uomo e una lucertola e il suo scopo sarà andare a caccia di stregoni, tra un piatto di gyoza e l’altro, finché non scoprirà chi lo ha ridotto in quello stato!

 

Riccardo Vedovato

riccardo.vedovato12994@gmail.com

 

 

 

 

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