IL CAPORALATO

È una piaga sociale che affligge il mondo del lavoro agricolo in Italia e che vede il sistematico sfruttamento di migliaia di lavoratori, soprattutto migranti.

La morte di Satnam Singh, il bracciante dell’Agro Pontino deceduto per dissanguamento dopo essere stato abbandonato dal “datore di lavoro”, ci indigna e ci interroga. Il tema è quello dei doveri dell’azienda agricola per la tutela dei propri dipendenti.

 

 

Il diffuso fenomeno del caporalato trova terreno fertile in un settore che richiede forza lavoro stagionale e flessibile, in cui i lavoratori, spesso provenienti da realtà connotate da povertà e disperazione, accettano condizioni estreme, senza contratti regolari, privi di qualsiasi diritto sindacale e sociale, esposti a rischi per la salute e la sicurezza, a fronte di un’irrisoria retribuzione.

Si stima che nelle campagne italiane ci siano 230 mila lavoratori agricoli soggetti a condizioni di sfruttamento, di cui 55 mila donne e il 30% cittadini italiani o della Ue.

La risposta istituzionale è inadeguata, nonostante l’adozione, negli anni, di provvedimenti normativi che hanno inasprito le pene e previsto la possibilità di confisca dei beni.

Nel 2016 il reato di caporalato è stato inserito tra quelli per cui può scattare la responsabilità amministrativa delle aziende. Oggi l’attuazione del Decreto Legislativo 231/20 per reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio è una facoltà e non un obbligo, ma l’applicazione rigorosa potrebbe essere un utile deterrente per prevenire e contrastare il caporalato. Adottare un Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo adeguato, insieme a una cultura aziendale etica e responsabile con un Organismo di Vigilanza autonomo e professionale, sarebbe un utile presidio per contribuire alla lotta contro lo sfruttamento lavorativo.

Il caporalato è un problema complesso che richiede interventi multipli e coordinati. L’adozione di misure legali rigorose, combinata con iniziative di responsabilità sociale d’impresa e la collaborazione tra enti pubblici e privati, può contribuire a ridurre significativamente il fenomeno e migliorare le condizioni di lavoro nel settore agricolo italiano.

Combattere questa ferita aperta nel cuore del nostro sistema produttivo significa restituire dignità a migliaia di lavoratori, garantendo loro condizioni di vita e d’impiego adeguate.

D’altro canto, s’impone una premialità per le aziende che scelgono la via della legalità.

Solo attraverso un’azione congiunta e determinata sarà possibile porre fine a questa forma moderna di schiavitù che rappresenta un business miliardario, soprattutto per le organizzazioni criminali.

Daniela Mainini

info@anticontraffazione.org

www.centrostudigrandemilano.org

 

 

 

 

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