IL VINO DEL CONTE

Il viaggio tra i vitigni prosegue nell’estremo levante ligure in provincia della Spezia sulle orme di Giorgio Gallesio e dalla sua celebre Pomona Italiana.

 

 

La Pomona Italiana è la prima e la più importante opera iconografica della pomologia, cioè dello studio sistematico degli alberi da frutto, vite inclusa.

Oggi, per il Registro Nazionale delle Varietà di Vite, il vino di cui parliamo si chiama ufficialmente Ruzzese, ma nel corso del tempo gli sono stati attribuiti diversi nomi più o meno dialettali. Tra questi: Rozzese, Rocese e Rossese Bianco. La storia del vitigno Ruzzese parte da lontano, si intreccia con quella di una delle casate più antiche dell’estremo levante ligure e con le vicende di Giorgio Gallesio, diplomatico genovese, che nella sua celebre Pomona Italiana del 1839 scrive del Rossese Bianco o Ruzzese. Ma la storia del Ruzzese arriva fino a noi grazie alla caparbietà di un’arguta imprenditrice. Andiamo con ordine.

 

Un po’ di storia.   

Il primo riferimento storico locale risale al 6 gennaio 1736 quando in un atto deliberativo nella Corte di Arcola (SP), si scrive: “al mese di ottobre si stilla la sua paniera di Rocese ogni persona”. Il vino proveniente da questa pigiatura di uva Ruzzese veniva impiegato, oltre che per uso personale, per porgere doni o per le celebrazioni eucaristiche. Questo testimonia che il Ruzzese era considerato un vino di pregio.

Traghettatrice del vitigno attraverso i secoli fu la nobile famiglia dei Picedi. Presente sul territorio già dal XII secolo, era proprietaria di molti terreni sulle colline di Arcola, coltivate con vitigni di tradizione ligure e della confinante Toscana come Vermentino, Albarola, Ruzzese appunto, Pollera, Sangiovese, Merlot e Vermentino nero. Nel 1700, a rafforzare il legame con il territorio, Francesco Picedi sposa Maria Teresa Benettini, la cui famiglia aveva ampie proprietà a Sarzana e in Val di Magra, diventando così tra i più importanti possidenti terrieri della zona.

Cruciale per la conservazione di questo raro vitigno fino ai giorni nostri è stata la figura del Conte Nino Picedi Benettini (1927 – 2019) che lo coltivava. Oggi sappiamo che è equivalso a custodirlo. Lo apprezzava al punto che fu il primo a farne una vinificazione in purezza nel 2008.  Poco dopo, il 27 marzo del 2009, ottiene l’ammissione al Registro Nazionale delle Varietà di Vite.

Oggi, a raccontare il Ruzzese è Monica Paganini, una ex manager proveniente dal settore infrastrutture e trasporti, che, cambiate le prospettive, stravolge la sua vita. Dopo un master universitario di valorizzazione del prodotto agroalimentare concentrato su pane, olio e vino, concluso con una tesi a tema olivicolo, Monica ricerca degli uliveti da cui ripartire, ed è proprio durante questa ricerca che si imbatte nel Conte Nino, il quale, complice la non più giovane età, le cede la cura dei propri ulivi e delle proprie vigne. Monica rileva la gestione del fondo rustico, quei terreni del Conte da cui provengono quasi tutti (pochi) gli esemplari di Ruzzese sparsi per l’estremo levante ligure.

 

Il vitigno Ruzzese.

L’area di coltivazione del Ruzzese è nella zona della Spezia e, più in generale, dell’estremo levante ligure. La sua diffusione è molto limitata e va distinta dal Rossese Bianco dell’Alta Langa, in Piemonte, e dal Rossese, a bacca rossa, tipico invece del ponente ligure.

Sono pochissimi i vitigni di Ruzzese attualmente in produzione. Tra le possibili cause, non solo la grande fortuna incontrata dal Vermentino, decisamente più produttivo, ma anche la difficoltà di reperire sul territorio microclimi idonei alla resistenza del vitigno molto sensibile a umidità e freddo.

Gli acini sono piccoli, anche rispetto al più fortunato Vermentino, di forma rotonda e grandezza ineguale. La caratteristica peculiare è che la buccia di colore giallo verde assume una colorazione rossastra quando giunge a piena maturazione. Il suo nome, Rossese bianco, potrebbe derivare da questo fatto.

 

Il vino.

Il nome del  Ruzzese vinificato in purezza del Chioso dei Conti Picedi Benettini è “1736”.

La firma è di Monica Paganini, che ne propone una vinificazione in purezza consapevole e caparbia. Perché questo vino ha tanto a che fare con la storia ma ha tanto a che fare anche con il futuro.  È così che 1736 mette la prima pietra per scrivere delle vinificazioni del ritrovato Ruzzese.

Chi avrà la fortuna di assaggiarlo troverà un bellissimo vino. Giallo paglierino con eleganti riflessi oro, profumi freschi di piccoli fiori primaverili e un agrume giallo. In bocca ha tutto: acidità e sapidità, struttura, intensità, persistenza. Un bellissimo vino, appunto.

Elisa Alciati

elisa.alciati@libero.it

 

Curiosità.

1736 identifica una data certificata nei registri storici del comune di Arcola. Si tratta della prima certificazione di un vino non Vermentino. È l’anno di un processo per frode alimentare a carico di un vignaiolo che aveva venduto falso vino Ruzzese alla curia.

 

 

 

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