Che cos’hanno in comune la noce moscata e un orso bruno? Nulla, a parte la ridondanza nel loro nome scientifico.
A quanto pare, i naturalisti ci tenevano a tal punto a sottolineare un concetto da ripeterlo sia in latino che in greco: il nome scientifico dell’orso bruno, Ursus arctos, significa “orso… orso”, mentre quello della noce moscata (o, meglio, della pianta che la produce), Myristica fragrans, significa “fragrante… fragrante”.
Tra l’altro, noi chiamiamo noce moscata… qualcosa che non è una noce. Beh, non in senso botanico, almeno, dove nemmeno quella per antonomasia (Juglans regia), di cui mangiamo il gheriglio, lo è. In entrambi i casi si tratta di semi contenuti nel rispettivo frutto di tipo drupa (come pesche e albicocche), mentre sono noci in senso stretto nocciole e castagne.
Ma torniamo alla nostra Myristica fragrans! Si tratta di un albero sempreverde che può raggiungere i 20 metri di altezza e che, come nel caso dei chiodi di garofano, nasce nelle isole Molucche, in Indonesia. Dal suo frutto si ricavano ben 2 spezie diverse: dal seme la nostra noce moscata, mentre dall’arillo il macis. Come? E Cos’è l’arillo? Ah, giusto, è la parte esterna al seme (ma interna alla polpa del frutto) che alla vista ricorda quasi dei tentacoli rosso brillante intenti a ghermirlo. Si trova anche in molti altri frutti: nel caso della melagrana, per esempio, è proprio la polpa rossa che avvolge i semi e che noi mangiamo!
Le prime testimonianze dell’uso di questa spezia ci portano indietro di 3.500 anni, nell’isola di Pulau Ai, tra le Banda, un piccolo gruppo di 10 isole vulcaniche nella provincia indonesiana di Maluku, nelle Molucche. Queste saranno l’unico luogo al mondo in cui trovare la spezia fino alla metà del XIX secolo. Già nel VI secolo d.C. il suo utilizzo era diffuso nel subcontinente indiano e a ovest fino a Costantinopoli. Nel XIII secolo gli arabi avevano identificato il suo punto di origine nelle isole Banda, ma, come erano soliti fare con le loro merci più preziose, custodivano gelosamente quel segreto, tenendolo ben alla larga dalle orecchie dei commercianti europei, e ci riusciranno ancora per qualche secolo.
Le Banda saranno il teatro di alcune tra le prime avventure europee in Asia volte a prendere in mano, e con stretta ben salda, le tratte delle spezie. È l’agosto del 1511 quando Alfonso de Albuquerque, fidalgo (leggasi “nobile”), esploratore e militare portoghese, conquista la Malacca, centro nevralgico del commercio asiatico, in nome del Regno del Portogallo. Alfonso fu tra i navigatori che più di tutti estesero l’impero marittimo della propria patria, chiudendo l’Oceano Indiano alle potenze turche e hindu e rendendolo una sorta di Mare Nostrum portoghese. Nel novembre dello stesso anno, ristabilita e fortificata Malacca e venuto a conoscenza delle isole Banda e della loro ubicazione, Alfonso invia una spedizione di 3 navi, guidata dall’amico Antonio de Abreu. I piloti malesi scortarono i marinai oltre Giava, raggiungendo le Banda nel 1512. I portoghesi non riuscirono mai, tuttavia, a ottenere un monopolio su quelle isole, obiettivo per il quale avranno invece successo gli olandesi, l’eterno cuculo del vacillante Impero portoghese.
Più di un secolo dopo, la Compagnia Olandese delle Indie Orientali condurrà una sanguinosa battaglia con i bandanesi, per la precisione nel 1621, decimando la popolazione e prendendo il controllo totale delle isole. Anche il domino olandese, però, non durerà per sempre. Durante le guerre napoleoniche, gli inglesi ne approfitteranno per invadere temporaneamente le Banda, premurandosi di trapiantare con cura gli alberi della noce moscata, con tanto di suolo, nello Sri Lanka, a Penang e a Singapore, loro domini. Contrabbandare e piantare i semi non sarebbe stato d’altra parte altrettanto vantaggioso: la pianta genera il primo raccolto solo dopo i primi 7-9 anni e raggiunge la piena produzione attorno al ventesimo anno di età. Sarà la fine del monopolio bandanese della spezia. Di lì in poi, la pianta verrà a sua volta trapiantata in altri possedimenti coloniali britannici come Zanzibar, nell’Oceano Indiano, e Grenada, nei Caraibi.
Oggi la noce moscata si ritrova in molti piatti della cucina indonesiana, indiana, ma anche in diverse preparazioni europee. Ne sono un esempio il konro, zuppa indonesiana di coste di manzo, e il konro bakar, sempre coste, ma in questo caso arrostite e ben speziate, e il semur, stufato di carne arricchito con salsa di soia, cipolla, scalogno, aglio e chiodi di garofano, oltre ovviamente alla protagonista di questo articolo. Nella cucina indiana è invece usata per insaporire i dolci, e talvolta, nelle zone costiere del Kerala (sud-ovest indiano), viene aggiunta alla miscela del garam masala, un curry di cannella, semi di cumino, coriandolo, cardamomo, chiodi di garofano, pepe nero e curcuma, che di solito non viene cotto insieme al cibo, ma aggiunto alla fine per conservare meglio l’aroma.
Riccardo Vedovato
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