La Forestina, dove oggi vive, si trova nel Parco agricolo sud Milano. Nella prima metà degli anni Novanta, ereditati terreni e cascine, la famiglia aveva deciso che avrebbe assunto un impegno diretto nel recupero e nella valorizzazione del fondo. Niccolò era immerso negli studi filologici, ma l’attaccamento al luogo, che frequentava fin da bambino, e la curiosità di esplorare una dimensione di convivenza tra gli interessi umanistici e il lavoro in campagna l’hanno spinto a tentare di costruire un equilibrio tra le due attività.
Lei si occupa della terra, del bosco in particolare, ma è anche impegnato negli studi di filologia.
Ho concepito fin dall’inizio un cammino che mi consentisse di valorizzare questo luogo. Ho cercato, e trovato, una pratica di coltivazione rispettosa, a basso impatto ambientale, in relazione armonica con la biodiversità selvatica del Bosco di Riazzolo. Abbiamo preservato la presenza degli insetti e di altri animali utili per il controllo dei parassiti, come la cinciallegra, un uccello predatore di lepidotteri e coleotteri, o i ricci che mangiano le limacce, i cosiddetti lumaconi, dannosi per gli orti.
L’approccio è stato anche filologico: come un filologo emenda un testo per recuperarne l’originale, così noi nel bosco abbiamo cercato di contenere le specie vegetali alloctone, introdotte dall’uomo con finalità economiche – spesso fallimentari – che hanno alterato la biodiversità originaria del luogo. Su alcuni appezzamenti abbiamo dovuto lavorare tanto per ricostruire degli equilibri che si erano persi; e oggi nel bosco c’è questa grande ricchezza di specie autoctone, come la quercia farnia e il carpino bianco, il melo selvatico, il nocciolo, il biancospino. Tutto il sottobosco è ricco di campanellini, pervinche, anemoni selvatici, mughetti.
Voi non avete dovuto introdurre nessun elemento nuovo, pur coerente con la natura del posto?
In realtà, il bosco ci ha facilitato da questo punto di vista proprio per la sua capacità di rinnovamento naturale, riuscendo a riprodursi con vigore e continuità. Dove invece era stata forte l’invasione di specie alloctone, dopo avere fatto un primo massiccio intervento di tagli ed estirpazioni, abbiamo operato dei trapianti autoctoni, ispirandoci naturalmente alla composizione del bosco.
Ma la competenza per poter fare tutto questo lavoro da dove arriva?
Io ho sempre avuto la fortuna fin da bambino di frequentare dei giardini, dei boschi. Moltissimo mi hanno aiutato in questo lavoro di esplorazione e di crescita le persone dei posti, specialmente i più anziani. Da loro ho imparato a riconoscere direttamente nel bosco le varie specie e le loro caratteristiche. Altre cognizioni sono venute dal contatto con persone laureate che hanno un diverso approccio rispetto agli uomini di bosco e di riviera (essere “di bosco e di riviera” è un modo di dire utilizzato per indicare una persona versatile, eclettica e in grado di cavarsela in ogni circostanza, ndr). Naturalmente poi tutte le competenze e le conoscenze si sommano l’una all’altra.
A proposito di lavori agricoli, mi ha parlato degli Arazzi del Bramantino che si possono ammirare al Castello Sforzesco di Milano.
Una delle attività che abbiamo coltivato in questi anni è stata quella di mettere in rapporto il nostro paesaggio millenario con la tradizione letteraria e figurativa lombarda. Gli storici e critici dell’arte Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa mi avevano chiesto una consulenza nel 2012 per individuare gli elementi rurali e naturalistici presenti in questi Arazzi, che descrivono mese per mese – secondo il calendario romano, da marzo a febbraio – i principali lavori dei contadini, riferendosi proprio al territorio circostante La Sforzesca, azienda agricola modello nei pressi di Vigevano. Quindi, nel mese di marzo ci sono degli strumenti per il dissodamento della terra e agricoltori che praticano degli innesti sugli alberi da frutto. Nel mese di maggio si allude al primo taglio dei prati e poi ci sono due giovani aristocratici su un prato con una coppa ricolma di ciliegie, mentre alle loro spalle si vedono sullo sfondo dei contadini che le raccolgono dai rami. In giugno possiamo osservare la mietitura dell’orzo e il secondo taglio del prato. In luglio si vede la battitura del grano nella corte della Sforzesca, a settembre la vendemmia e a ottobre un baratto di ortaggi e frutti invernali con la semente del grano che appunto s’interra in quel mese.
Riscontriamo anche nella letteratura lombarda, da Virgilio a Carlo Emilio Gadda, questa attitudine realistica: non una rappresentazione astratta del paesaggio agricolo e naturale, ma una sua restituzione fedele tramite l’osservazione diretta.
Pensiamo anche al cibo: è bellissima l’immagine di ospitalità che offre Virgilio nelle Bucoliche: una offerta da Titiro, che ha conservato il fondo, a Melibeo, un pastore espropriato delle proprie terre, sul far della sera.
Com’era la vita per un agricoltore?
Estremamente dura, e questo non va dimenticato. Come si vede anche negli Arazzi citati, da marzo a ottobre le persone vivevano a piedi scalzi e ancora negli Anni Sessanta qui alla Forestina non c’era un bagno : ci si lavava nei fontanili e si usavano le lampade a petrolio.
Ma anche nelle testimonianze di chi ha lasciato allora quelle fatiche e quei sacrifici, resta vivo il ricordo della ricca socialità della cascina, di una vita più solidale e condivisa.
Paola Chessa Pietroboni
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