NUOVO DENIM

Se pensiamo a un capo d’abbigliamento che tutti abbiamo nell’armadio, quasi certamente ci vengono in mente i jeans. Definiti icona della moda casual, i pantaloni in tessuto denim che hanno fatto la storia e avvicinato le generazioni, sono oggi al centro di una delle più urgenti sfide della sostenibilità.

 

 

 

La loro produzione ha infatti un’impronta ecologica che gli esperti descrivono come enorme. E i dati parlano chiaro. Secondo uno studio dell’Università olandese di Groninga, per ogni paio messo in produzione vengono immessi nell’atmosfera quasi 34 kg di CO2, con un consumo di 3.781 litri di acqua e 12 metri quadri di terreno. Per queste ragioni, sembra che l’1% delle emissioni globali di gas serra sia imputabile a questa industria, che si stima metta sul mercato ogni anno circa 2 miliardi di capi.

In occasione della fiera Denim Première Vision, che si è tenuta a Milano lo scorso mese di giugno, 80 aziende hanno presentato le loro proposte per abbattere questo impatto sul pianeta.

Florence Rousson, il Presidente del Consiglio Direttivo di Première Vision, il salone internazionale dei tessuti per la moda che due volte all’anno organizza l’appuntamento milanese dedicato all’linnovazione della nota tela di cotone blu, ha affermato che l’impresa è considerevole, ma – al tempo stesso – che le iniziative e le novità sono numerose. La modernità nel mercato di quello che viene chiamato jeanswear passa oggi soprattutto dalla ricerca della sostenibilità.

Nell’ultima edizione del salone, il dibattito in primo piano è stato quello sull’uso di fibre alternative al cotone, come lino e canapa, ma anche juta, ortica e ramia, che necessitano di pochissima acqua, concimi e pesticidi e possono essere raccolte 5 volte all’anno anziché una sola.

Tra le novità proposte ci sono: la viscosa Ecovero di Lenzing, che ha una base di cellulosa proveniente da foreste certificate e abbatte il consumo idrico del 50%; il NuCycl di Evrnu, un tessuto di lyocell, fibra tessile di origine naturale estratta dalla cellulosa della pianta di eucalipto; e la fibra presentata da Spiber – azienda giapponese di biomateriali che sviluppa tessili a partire da proteine fermentate in laboratorio – in collaborazione con Ueyama Textile, composta per il 35% dalle Brewed Protein (materiali proteici) e per il 65% da cotone biologico.

Nel mondo delle fibre di origine sintetica la sostenibilità passa invece dal riciclo dei rifiuti, sia di origine marina sia delle risorse pre e post consumo, e dalla sostituzione dei pigmenti impiegati con altri a base minerale o derivanti da scarti agricoli.

 

Lucia Massarotti

lucia.massarotti@gmail.com

 

 

 

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