Dalla A di Abbuoto alla V di Vuillermin. Raccontare i vitigni più rari del nostro Paese è sempre un viaggio: nella geografia, nella storia e perché no, questa volta anche nell’alfabeto.
Le prime notizie del Vuillermin risalgono al 1890 con il Bulletin du Comice Agricole de l’Arrondissement d’Aoste di Louis Napoléon Bich, che lo cita parlando della sua particolare resistenza alle bruciature del Sole. Ma, probabilmente, esiste in Valle d’Aosta da molto prima.
Ne scrive Lorenzo Gatta nel 1838 a proposito della viticoltura valdostana utilizzando un altro nome, Eperon o Spron, che sarebbe stato localizzato tra Arnad e Montjovet, zone molto vicine a quelle tipiche del Vuillermin di Chambave e Chatillon, e per la forte somiglianza dei caratteri ampelografici, tra cui foglia, grappolo, acini e tralcio. Infatti, si ipotizza che possa trattarsi del medesimo vitigno, ovvero appunto il Vuillermin. Tuttavia, Bich scrive separatamente di entrambi. Per sciogliere i nodi, potrebbero essere di aiuto le nuove tecnologie, come l’esame del DNA, ma la vite allora nota come Eperon o Spron risulta scomparsa.
Arriviamo agli Anni Novanta, quando, grazie all’Institut Agricole Regional di Aosta e all’ampelografo Giulio Moriondo, il Vuillermin viene salvato dall’estinzione.
Risulta iscritto al Registro Nazionale delle Varietà di Vite dal 1999, e soltanto a partire dal 2008 è entrato nel disciplinare di produzione della denominazione Valle d’Aosta DOC Vuillermin.
Abbiamo intervistato Hervé Daniel Deguillame, dell’azienda vitivinicola La Vrille, situata nel Comune di Verrayes, al centro della Valle d’Aosta. Qui crescono vitigni autoctoni: Petit Rouge, Cornalin, Fumin, Neyret, Picot Tèndre, Chambave Muscat e Vuillermin.
Cosa possiamo dire di quest’ultimo?
Che è un vitigno autoctono valdostano salvato in extremis. Se ne sente parlare già dal 1890 da Bich per la sua resistenza alle bruciature del Sole, e in effetti posso dire che è proprio così. Riguardo alle sue origini, oggi il test del DNA ci dice che ha una certa parentela con il Fumin, rispetto al quale però risulta molto meno tannico e più delicato.
C’è una storia molto interessante sulle sue origini. In Valle d’Aosta, “Vuillermin” è anche un cognome; si ipotizza quindi che potesse trattarsi proprio del nome di una famiglia, che magari lo ha incrociato con Fumin e un secondo vitigno oggi scomparso. Ha parentele anche con altri, come il Mayolet e il Petit Rouge, ma il fatto divertente è che proprio in questa terra, la Valle d’Aosta, che ha molte viti a bacca rossa, probabilmente il padre di tutti i vitigni, il più importante, è il Prié blanc, a bacca bianca.
In definitiva, è un vitigno misterioso. Perché è poco diffuso? È difficile capire quali possano essere stati i motivi, ma molto probabilmente, se la sua storia fosse davvero quella familiare, potrebbe essere stato semplicemente tramandato da una famiglia all’altra.
Avete trovato questo vitigno tra i vostri filari?
No, lo abbiamo scelto, da almeno 10 anni. È stato salvato dall’Institut Agricole Regional di Aosta e replicato grazie a quelli ritrovati a Chambave e Chatillon.
Inizialmente volevo un vitigno resistente, e questo, come si è detto, non soffre le bruciature del Sole né le malattie fungine. Oggi ne abbiamo circa 2.000 metri di filari.
Tutti aspetti positivi insomma?
Sì, ma ha anche le sue particolarità. Per esempio, diversamente da tutte(i) o dalla maggior parte dei vegetali che tendono a crescere verso l’alto, cioè verso il Sole, la pianta del Vuillermin preferisce sdraiarsi. Questo rende più difficile “palizzarla” in vigna; andrebbe parallela al suolo, quindi sarebbe più adatta probabilmente ai pergolati, ma in questa zona non si usano più; qui utilizziamo il Guyot, che prevede una forma di allevamento a spalliera.
Cosa vi ha portato a sceglierlo?
Ho voluto piantare il vitigno più diffuso qui che è il Petit Rouge e poi quello meno diffuso che è il Vuillermin. Mi è piaciuto subito il suo comportamento in vigna e in vinificazione e i suoi punti di forza. Quindi ho iniziato presto a incrementarlo e a vinificarlo in purezza.
Oggi quanto è diffuso?
Poco; in tutta la Valle d’Aosta in 3 o 4 cantine al massimo.
Veniamo alla vinificazione e alle caratteristiche del vino.
Facciamo una macerazione pre-fermentativa a freddo, poi una fermentazione a 22 gradi per 12 giorni in acciaio, un affinamento in botti da 500 o 300 litri per 12-15 mesi, infine un ulteriore affinamento in bottiglia da un anno a 18 mesi.
È rosso granato, ha profumi intensi di frutti a polpa rossa, è secco, ha un’acidità particolare accompagnata da un leggero sentore di agrumi, è di buona struttura. Il tannino è molto fine, meno esuberante rispetto a quello, per esempio, del Fumin. Questo fa sì che, a differenza di altri vini rossi, in estate si possa bere anche un pochino più fresco.
Con cosa lo abbiniamo?
Direi un pesce grasso come la trota, il salmone… Altrimenti si sposa bene anche con salumi, selvaggina o una toma.
Quante bottiglie possiamo trovarne?
Noi abbiamo una produzione totale di circa 18.000 bottiglie; di Vuillermin in purezza ne contiamo 1.100-1.200.
Elisa Alciati