ZUPPA…INGLESE?

È il 1799. Torna sul trono di Napoli Ferdinando grazie all’aiuto dell’ammiraglio Nelson. Durante la festa, pare che il maggiordomo abbia detto al cameriere: “porta questa zuppa all’inglese!”

 

 

 

 

Il 1799 è l’anno della Repubblica Napoletana. Napoleone è bloccato in Egitto, l’ammiraglio Nelson ha colato a picco la sua flotta ad Abukir. I repubblicani dell’ex Regno di Napoli restano soli, tentando invano di difendersi dalle armate controrivoluzionarie che incalzano da Sud. È il 13 giugno quando la capitale viene riconquistata dai monarchici: la Repubblica non è durata nemmeno un anno e, grazie agli inglesi, ritorna sul trono Ferdinando. Secondo la leggenda, il Borbone volle ringraziare l’ammiraglio dando una festa in suo onore e, al momento di servire il dessert, sembra che il cuoco avesse preparato un dolce con avanzi di biscotti, rum e crema pasticcera, e che il maggiordomo abbia detto al cameriere: “porta questa zuppa all’inglese!”.

Poco importa che, in un’altra versione della leggenda, il suddetto dolce sia stato raffazzonato in fretta e furia dal cuoco dopo che uno sbadato cameriere aveva fatto cadere il dessert vero e proprio; in entrambi i casi, siamo di fronte alla tipica, romantica (e, se vogliamo, anche un po’ ingenua) leggenda culinaria in cui ci imbattiamo quando tentiamo di scoprire l’origine di un piatto celebre: simpatica da raccontare, praticamente impossibile da dimostrare. E, molto probabilmente, le cose non sono andate così; gli ingredienti non sono nemmeno quelli della ricetta odierna, ma ehi, almeno ora sapete che Napoli ha rischiato di diventare una repubblica sessant’anni prima che un certo Garibaldi si prendesse la briga di conquistare pezzi d’Italia per il re (più francese che italiano, ricordiamolo) di Piemonte.

Ma questo dolce, terribilmente semplice e dannatamente buono, da dove viene fuori? Secondo il profeta Artusi, nome di battesimo Pellegrino, autore di quella bibbia culinaria dal titolo La scienza in cucina e l’arte di mangiare bene, pubblicata per la prima volta nel 1891, la paternità del dolce spetterebbe alla Toscana, e ne elenca i seguenti ingredienti: crema pasticcera, dal XVI secolo regina indiscussa di tutte le creme e protagonista di innumerevoli ricette cardine della pasticceria (ma non daremo ai francesi la soddisfazione di dire in questa sede quale sia la sua nazione d’origine); savoiardi, che il nome vorrebbe originari della Savoia, ma noi dei nomi non ci fidiamo (o a che servirebbe questa rubrica?), cionondimeno affronteremo l’argomento in separata sede; confettura, preferibilmente di albicocche; rosolio, peccato di gola e di spirito, trattandosi di un liquore dolce prediletto da tutte le corti rinascimentali italiane; alchermes, o alkermes, dallo spagnolo alquermes, dall’arabo al-qirmiz, nome metonimico che si riferisce al suo colore, dall’animale da cui si ricava…: cioè al-qirmiz significa “cocciniglia”, un insetto da cui si estraeva (e si estrae tuttora) un pigmento rosso carminio, usato per tingere lo stesso liquore, il cui sapore è invece dato da una mistura di acqua di rose, vaniglia, cannella, coriandolo e chiodi di garofano. Lo so, anche qui non tutti gli ingredienti ci tornano: chi ce l’ha mai messa la confettura nella zuppa inglese? E poi io, onestamente, non uso i savoiardi ma il Pan di Spagna. E il cacao? Dov’è il cacao?

C’è da dire che, oltre a non essere tutti d’accordo sugli ingredienti, non lo sono nemmeno sulla sua paternità territoriale: Ada Boni, gastronoma autrice de Il talismano della felicità (1929), la dichiara un dolce romano (ovviamente lei era nata a Roma, e sì, ovviamente Artusi era di Firenze… cioè no, in realtà era romagnolo, ma ha passato a Firenze sessanta dei suoi novant’anni e mezzo, tornandovi  di corsa da Livorno nel 1855 dopo aver mangiato, con esiti infausti, un sospetto minestrone al colera: qualcosa conterà, o no?).

Altri lo reclamano un dolce emiliano, affondandone le origini nel ‘500 ferrarese, presso la corte degli Estensi (e, in questo caso, si parla di pandispagna, innaffiato con sherry o simili liquori dolci). Altre versioni ancora lo imputano agli inglesi: rendendone ingenuamente coerente il nome, lo fanno discendente ed erede dell’archetipico trifle (che significa, letteralmente, “sciocchezza”); anch’esso attestato per la prima volta nel XVI secolo, è un dolce a base di crema pasticcera, frutta e pandispagna imbevuto di sherry o di un vino liquoroso a scelta. Altri ancora collegano le versioni, rendendolo un’esportazione britannica su suolo romagnolo, e c’è perfino chi, malandrino, lo vorrebbe regalare a un’origine francese ma, per fortuna, non si trova alcun riscontro valido nella suddetta tradizione culinaria.

Insomma, chi più ne ha più ne metta. Questo è uno dei molti casi in cui il mistero dell’origine è destinato, per il momento, a restare insoluto, e l’unica cosa certa, riguardo a questo dolce, è la gioia che regala al palato.

Riccardo Vedovato

riccardo.vedovato1994@gmail.com

 

 

Gli ingredienti della “zuppa inglese” secondo La cucina italiana.

Per quella classica, tradizionale dolce al cucchiaio: latte, zucchero, tuorli, farina, savoiardi, alchermes e cacao.

 

 

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